lunedì 12 gennaio 2009

CO-HOUSING

La condizione di spazi abitativi – per nuclei familiari o anziani soli – nato anni fa nel Nord Europa, sta interessando gruppi e società anche in Italia. Il parere degli esperti su questo nuovo modo di vivere in campagna o in città. L’appartamento è indipendente, ma alcuni spazi sono condivisi.
E’ nella Scandinavia degli Anni ’60 che nasce l’idea di quell’interessante sistema di vita aggregata che va sotto il nome di co-housing, una sorta di “comunità di vicinato” fatta di persone che hanno scelto di vivere in un complesso residenziale a servizi condivisi. Un esperimento ben riuscito, almeno a giudicare dal fatto che questo modello nel tempo si è diffuso in Nord europa, Stati Uniti, Giappone ed ora sta cominciando a far presa anche in Italia. Si tratta di piccoli centri residenziali costruiti grazie ad una progettazione partecipata, dove coesistono l’autonomia dello spazio privato, cioè la propria abitazione, e ambienti e servizi comuni, come quelli di pulizia, ristorazione, assistenza sanitaria, ma anche centri ricreativi e del tempo libero, palestre, orti, giardini, allevamenti di piccoli animali, spacci e quant’altro possa sollevare gli abitanti di tali strutture dai problemi della gestione quotidiana di una vita il più possibile indipendente dai grossi centri abitati, dai quali peraltro non devono essere a grande distanza. Co-housing significa, dunque, coabitare e condividere. Non solo attività e servizi, ma condividere anche la volontà di sfuggire all’emarginazione dell’individuo, piaga della società moderna, specie nelle grandi città in cui milioni di persone girano nelle stesse strade, utilizzando gli stessi servizi pubblici, senza conoscersi. Persone rimaste sole, spesso isolate persino da parenti ed amici, travolti dal lavoro e dagli impegni. La co-residenza significa recuperare l’attenzione degli altri che hanno fatto la stessa scelta, dare un contenuto al tempo lavorando con gli altri e per gli altri, condividere le risorse e la voglia di vivere nello stesso complesso residenziale. Ritrovare insomma il piacere di stare assieme.
Nato come soluzione abitativa pe piccoli nuclei familiari o per persone sole, o per giovani,, la co-residenza, cosi come viene delineata nelle esperienze già attive, sembra essere una soluzione interessante anche per persone in là con gli anni, rimaste sole o in coppia, le quali qui troverebbero l’antidoto alla solitudine e all’anonimato cittadino. In questo caso, i servizi condivisi comprendono anche quello delle badanti o della spesa a domicilio o di un’assistenza sanitaria specializzata, gite in bicicletta e viaggi nei week-end. Nella co-residenza si può scegliere tra l’affitto dell’alloggio più una quota-spese per i servizi comuni; l’uso dell’immobile può essere anche a tempo determinato; o l’acquisto della porzione abitativa individuale e quota di parti comuni, oltre i pagamento dei servizi.
In Italia sono, attualmente, quattro le società aderenti all’Istituto Nazionale di Studio e di Promozione del co-housing (Ispco), e i loro nomi rimandano in maniera esplicita alla loro finalità principale: Cohousing.it, CoHabitando, Coabitare ed Eco-abitare. Implicito nel nome di quest’ultima il richiamo all’istanza ecologista, che in questo caso come in quello di CoHabitando è elemento imprescindibile nella progettazione delle unità abitative, improntata alla sostenibilità ambientale (concetto comunque generalmente abbracciato da chi si avvicina al mondo della coabitazione, che presupponendo un rispetto per gli altri “impone” anche l’attenzione alla salvaguardia del mondo) e al risparmio energetico.
Fondamentale è la possibilità di riuscire ad avere una vita con tempo libero e serenità sufficiente a goderselo: condizione realizzabile grazie alla collaborazione reciproca, stabilita in base alle competenze e alle disponibilità di ciascuno (comportante quindi anche una garanzia della tanto agognata “sicurezza”), e alla “messa in comune” di attività di gestione, sociali e ricreative. Il che significa proprio i famosi spazi comuni che, a seconda dei bisogni definiti da un confronto tra i membri del gruppo, possono andare dalla lavanderia all’asilo nido, dalla sala hobby alla palestra, da una sala da pranzo condivisa alle stanze per gli ospiti, dall’orto al parco macchine. Tutto questo comporta anche un notevole risparmio economico, generato dalla riduzione degli sprechi, del ricorso ai servizi esterni e del costo dei beni acquistati collettivamente (la maggior parte delle “comunità” costituisce infatti anche gruppi d’acquisto,e in alcuni casi si comprano in comune anche alcuni servizi, come quello di una baby-sitter per bambini di diverse famiglie).
I futuri abitanti partecipano al progetto della residenza e alla sua gestione quotidiana secondo principi egualitari. In alcune comunità i residenti possono decidere a turno di cucinare odi aiutare in cucina. I pasti in comune sono un concetto chiave perché rappresentano un momento di socializzazione.
I criteri di costruzione delle abitazioni includono sistemi di riciclaggio dell’acqua o di risparmio energetico, oltre che l’uso di tecnologie alternative. Come la produzione di energia solare. In Danimarca, In Olanda e negli Stati Uniti hanno rapidamente capito che questo modello di vita che cerca di combinare bisogno di autonomia e desiderio di vivere con gli altri poteva essere un’ottima alternativa per gli anziani.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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